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venerdì, maggio 01, 2009

QUANDO LE PORTE DEL VECCHIO REGIONALE NON SI CHIUDONO

2:53 PM 4

- CRONACA DI UNA MATTINA DI ORDINARIO DISAGIO PER I PENDOLARI, ALLA STAZIONE DI NOVARA -

 

Prime luci del 29 aprile. Cupo al binario 4 si presenta un carro vecchio regionale che trascina, stanco, il peso degli anni. La solita calca per salire, gli spintoni, la corsa per prendere i posti, la rassegnazione di chi deve rimanere (ancora) in piedi nel disimpegno del vagone. Ma non si chiudono le porte automatiche. Non si bloccano, niente, manco a pregare. E comincia a pregare, del resto, chi si eviterebbe volentieri di arrivare tardi al lavoro. E cominciano a passeggiare irrequieti ferrovieri sulla banchina, guardando pietosamente il treno e parlando al cellulare. Chi dalle carrozza li vede andare su e giù, stringendo i denti mormora “Ahia”, e aggiunge in dialetto alzando gli occhi al cielo, “Cuminciùma”. Le voci, il chiacchiericcio sommesso dei passeggeri, del resto, brulica più vivo che mai. Solo i portelloni blu “tacciono”, aperti. E i minuti passano. Ormai vagano inquieti per i corridoi non soltanto i controllori, che sbraitano contro una ricetrasmittente, chiedendosi dove mai saranno i tecnici che possono ovviare il problema, ma anche i malcapitati passeggeri non definibili come “pendolari” (loro, abituati a scene simili, manco si schiodano dalle poltrone), quelli che per una grottesca coincidenza hanno dovuto prendere quel treno, quel giorno. Il treno fermo sul binario 4. Ecco, allora: iniziano a scendere i primi passeggeri, che vedono il treno per Venezia S.L. fermo sull’altro binario e pensano: “E’ più veloce, e ferma a Milano per forza”. Dopo pochi minuti il Venezia S.L. parte e lascia libera la vista dei binari più lontani. Tra questi spicca, al 6, quel gioiellino del suburbano, ovvero la miglior risposta ai ritardi del regionale. Qualcuno indica, vivacemente:”E’ il suburbano, è il suburbano”; così la prima ondata di passeggeri schizza verso le porte e corre verso il treno al binario 6. Ma parecchia gente rimane sul regionale, speranzosa. Finchè: 7.25 Roberto (nome “tecnico” della voce sintetizzata che le Ferrovie usano come speaker) parla: “Il treno regionale 2003, delle ore sette-e-zero-tre, ecc ecc, binario 4, ecc ecc, partirà con un ritardo di 30 minuti”. E’ la goccia che fa traboccare il vaso: una fiumana di passeggeri scende dal treno. Chi si contiene guarda chi ha vicino con uno sguardo di rassegnazione e scuote la testa. Poi c’è sempre chi arringa la folla e si produce, sostenuto dal gremito pubblico di scontenti, in lunghe invettive col primo povero controllore che gli capita a tiro, ugualmente a disagio per la situazione. “Signori, signori, arriverà un altro treno, quello delle 7.38”, o qualcosa di simile. Qualcuno corre a informarsi, poi si sente dire: ”Ma quello delle 7.38 arriva sempre al binario 4, come fa se c’è questo tra le scatole?”, parafrasando un po’ la frase; senza pensare che qualcuno, dai piani alti, sarà abbastanza furbo da far arrivare il treno “sostitutivo” su un altro binario. Tutti parlano confusamente e discutono coi ferrovieri: una scena da film neorealista. Si fanno le 7.35. Una signora: “Ma non si può sopprimere un treno così, dai”. Pronto uno dei capistazione: “No, signora, questo treno non è soppresso, riparte”. Un tizio lì vicino guarda l’ora, poi interviene ridendo: “Ma se tra un po’ arriva il treno delle 8.03!”. La confusione generale giunge al massimo. Passeggeri scendono le scale, cercando dove mai arriverà l’altro treno, poi tornano indietro, dubbiosi interrogano senza ottenere risposta. Altri scendono dal treno, poi risalgono, indecisi. Verso le 7.40 la voce: “Signori, il treno è pronto a ripartire, potete occupare le carrozze dalla terza in avanti”. Tutti capiscono che il problema delle porte non è stato poi così egregiamente risolto, e difatti la maggior parte dei portelloni rimane spalancata. Una signora, come illuminata: “Ma non viaggeremo tutti schiacciati?” (chiaramente, essendo così pochi i vagoni disponibili). Risponde un controllore esasperato, alzando le mani al cielo: “A signò, o questo treno, o un altro!”. Intanto arrivano i pendolari delle 8.03, e si trovano davanti l’apocalisse, s’informano e si coprono il volto con la mano. Qualcuno, preoccupato per il ritardo al lavoro, dopo aver chiamato per avvisare, nemmeno protesta, ma corre a casa a tirare fuori la macchina dal garage. Come è ovvio, il treno delle 8.03 viaggerà con un naturale ritardo. Quanto a me, le mie due ore di diritto privato parte II me le sono già giocate. Prima di tornarmene a casa guardo il tabellone. 30 minuti di ritardo segnati, dopo che, chiaramente, erano diventati 50 e rotti, sotto i miei occhi sono inspiegabilmente diminuiti a 40. Il perché è una bella domanda. Ma il tempo, si sa, è un concetto relativo.

Alessandro Curini

(Articolo tratto dal Corriere di Novara di giovedì 30 aprile 2009)

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